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Oggi vediamo come scegliere la carta pergamena.
Viene prodotta trattando pelli di animali che non sono state conciate; è fatta di collagene, e fino al quattordicesimo secolo veniva usata abitualmente come supporto di scrittura. Questo materiale può essere fabbricato con pelle di capra, di pecora o di vitello, private in maniera adeguata del loro pelo e lasciate ad asciugare in situazione di tensione.
Come Scegliere la Carta Pergamena
Il nome pergamena deriva da Pergamo, città dell’Asia Minore (in latino vellum o membrana) in cui si dice sia stato scoperto questo materiale più o meno nel II sec a.C. , stando alla testimonianza di Plinio il Vecchio; a Pergamo c’era anche un’enorme biblioteca, talmente grande da essere considerata rivale di quella di Alessandria. A Pergamo venne ideata la pergamena nel momento in cui l’Egitto interruppe l’attività di esportazione del papiro, causata dalle rivalità in ambito culturale tra Eumene II, re di Pergamo, e Tolomeo V, re d’Egitto.
La pergamena non prese molto piede nell’antichità, in ogni caso, per via del papiro che continuava ad essere comunque molto utilizzato, essendo meno caro e più facilmente reperibile; solamente dal V secolo in poi la pergamena iniziò a diffondersi in maniera significativa, fino ad essere il supporto scrittorio più utilizzato nel Medioevo, periodo appena precedente all’utilizzo definitivo della carta. Il luogo d’origine delle pergamene risalenti al Medioevo e quello degli animali usati per ottenerla sembrano essere tra loro collegati; ad esempio in zona mediterranea (e in particolare italiana) erano più utilizzate le pelli caprine o ovine, mentre in Inghilterra, Irlanda e in generale nell’area delle isole erano più usate quelle bovine.
Il monachesimo, diffondendosi in Europa anche nelle isole e in Italia, portò all’incremento dell’uso di pelli bovine nei centri scrittori che si trovavano sulle isole, come ad esempio Bobbio; qui la pergamena venne usata comunque soltanto tra il secolo diciottesimo e il diciannovesimo. Nell’alto Medioevo, quando la materia prima scarseggiava, si ricorse spesso al riuso dei manoscritti più antichi su cui il testo era diventato difficilmente leggibile: in questi casi i tesi venivano rimossi, e quelli nuovi prendevano posto sulle pagine di pergamena.
Questo metodo era detto dei palinsesti (dal greco “raschio nuovamente”) o dei codices rescripti, in lingua latina, e venne utilizzato in una zona e in un periodo limitati. Esistevano vari tipi di pergamena (spessa, sottile, chiara, ruvida, ecc.), e la scelta dell’uno o dell’altro tipo si basava sull’uso che se ne voleva fare; per le pergamene da legatoria (dal diciannovesimo secolo circa in avanti) venivano usati i tipi più scuri e più spessi, mentre per le pergamene su cui venivano riportati i testi si sceglieva una qualità più sottile e più chiara. Per i documenti più importanti, come potevano essere per esempio i brevi pontifici, si usavano pergamene bianchissime e particolarmente sottili, ottenute trattando le pelli di bestie nate morte o di età molto giovane. Nei secoli sedicesimo e diciassettesimo veniva utilizzata moltissimo in ambito legatorio la pergamena tratta dai suini, adatta alla legatura di volumi particolarmente grossi.
La pergamena si poteva anche colorare: grazie a questa caratteristica vennero prodotte in epoca altomedievale pergamene dal colore purpureo, usate poi per documenti o volumi dal contenuto più solenne, redatto in inchiostro dorato o argentato (ad esempio il Codex Purpureus Rossanensis o Codice Purpureo di Rossano, risalente al sesto secolo e conservato a Rossano, nel museo Diocesano; oppure alla Bibbia di Ulfila, conservata a Uppsala, e al Privilegium Othonianum, conservato in Vaticano, risalenti entrambi al nono secolo. In ambito legatorio si diffuse poi molto anche la pergamena di color verde, intorno al diciassettesimo secolo; questo nonostante la pergamena fosse sempre meno usata, dal tredicesimo secolo in poi, a causa della progressiva diffusione in Europa della carta.
Ciò non impedì alla pergamena di continuare a fare da supporto scrittorio in più occasioni anche dopo il diciannovesimo secolo, come per esempio negli atti ufficiali di papi, re, imperatori e così via; anche in ambito tipografico la pergamena continuò ad essere usata, anche se meno, fino al diciannovesimo secolo incluso.
Abbiamo ancora delle ricette risalenti al medioevo per produrre le pergamene; tra di esse la più antica risale all’ottavo secolo ed è conservata a Lucca, nella biblioteca Capitolare. Di solito la pergamena si otteneva rinverdendo la pelle dell’animale per poi immergerla in una soluzione composta di calce e acqua (calcinaio), in modo da far sì che si depilasse bene; a questo scopo si utilizzava come supporto uno speciale cavalletto, detto “a schiena di asino”, grazie al quale i pergamenai potevano con pochi colpi secchi spelare la pelle della bestia.
Dopo queste operazioni preliminari veniva montata la pelle su degli appositi telai, in modo da tenderla e farla seccare per bene, oltre che cancellarne con delle lame a mezza luna gli eventuali residui di carne rimasti attaccati; una volta terminata questa fase, la pergamena era pronta per essere rimossa dal telaio ed usata. Volendo si poteva perfezionare ulteriormente la sua realizzazione, lisciandola con della pietra pomice da entrambi i lati in modo da renderla uniformemente liscia, o ancora usando dei colori per ravvivarla.
Grazie ai moderni microscopi a nostra disposizione possiamo determinare, osservando una pergamena, da quale tipo di animale proviene, e in particolare guardando il lato in cui c’era il pelo per distinguerne l’arrangiamento follicolare (procedimento molto diffuso anche per il cuoio). Ricordiamo che esistevano anche altri metodi per la depilazione delle pelli, risalenti al diciottesimo secolo circa e che facevano ricorso a dei particolari enzimi; la fase di distensione delle pelli sui telai è sempre rimasta uguale, invece, in quanto consente di allineare in senso parallelo le fibre di collagene.
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